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Ridisegnare strategie complesse: Il potere del Design Thinking

2023-07-04 11:20

Valentina Sandi

Blog,

Ridisegnare strategie complesse: Il potere del Design Thinking

Dopo un’introduzione al design thinking capiamo cosa è: è un insieme di principi, strumenti e approcci (mindset) utilizzati per disegnare strategie co

Dopo un’introduzione al design thinking capiamo cosa è: è un insieme di principi, strumenti e approcci (mindset) utilizzati per disegnare strategie complesse, che spostano il focus sul comportamento umano invece che su processi e procedure. Vediamo nello specifico i 3 elementi.

 

Principi: Il focus è sul contesto e sulle persone con i loro bisogni, ambizioni, obiettivi, paure e attività che devono svolgere.  Per disegnare un nuovo prodotto o servizio o per migliorarne uno già esistente, devo innanzitutto partire da chi lo usa. Un prodotto o un servizio non è buono o cattivo in sé ma è più o meno efficace e adatto ad un contesto (spazio-temporale) e a chi lo deve usare. “One doesn’t fit necessarily all and always”.

 

Tools: usa strumenti visuali del design (canvas) e si basa sull’osservazione dei comportamenti degli user cercando di definire alcune teorie di comportamento per ideare delle soluzioni.

 

Mindset: le idee generate vengono prima sperimentate e testate, se ne raccolgono i risultati e vengono fatti aggiustamenti e rilasciati nuovi prototipi o test oppure finalizzata l’idea. L’errore non è un’onta ma uno step necessario per arrivare a una soluzione di successo.

Crediamo che leggendo le caratteristiche appena descritte, si possa pensare che non ci sia molto di diverso da quello che fai già. Come HR, sei focalizzato sulle persone e con survey aziendali hai dati, oltre che molte informazioni dai database e dai sistemi ERP. Quando rilasci qualche nuovo progetto, fai sempre un pilota su una popolazione ridotta per poi andare in roll out completo. Quindi cosa c’è di così nuovo, diverso e “speciale” che ti dovrebbe convincere a provare ad applicare questo metodo?

 

A parte gli strumenti e le tecniche, che sono il centro di questa metodologia e che ti illustreremo in questa serie dedicata, è il mindset, l’approccio, quello che fa la differenza.

 

Lo sguardo del designer thinker è uno sguardo curioso che guarda al suo user o cliente, senza idee preconcette. La soluzione non è già nella sua mente ma ti arriverà seguendo un metodo e un flusso, “avendo fiducia” nel processo generativo che il metodo rappresenta.

 

Un designer non ha mai già la soluzione in tasca, ha una situazione da esplorare, delle persone da ascoltare con degli strumenti precisi. Quante volte invece, il modo con cui portiamo innovazione e cambiamento in azienda parte da una soluzione che abbiamo in mente e che sappiamo altre società hanno implementato, o che abbiamo ascoltato in un convegno, letto in un libro o in un post e andiamo a caccia della conferma che quella è la soluzione giusta per noi. Invece, la domanda che un design thinker farebbe è: chi è il mio user e di cosa ha bisogno?

 

Quindi se volessi applicare questo metodo, quello che faresti, facciamo un esempio, per scrivere un nuovo processo di onboarding, sarebbe capire chi sono le persone che entrano in azienda, quante sono, cosa si aspettano e di cosa hanno bisogno. Come è stata quell’esperienza per chi ha provato questo processo nell’ultimo anno, cosa si aspettano i manager e i team di lavoro. Se dividiamo l’onboarding in sottofasi (es. contrattualistica, consegna strumenti, formazione obbligatoria, conoscenza del capo e del team, assegnazione obiettivi ect) quale in questo momento è quella più critica, su quale invece ha più senso investire. E via così. Non sai ancora come cambierà quel processo e lo ridisegnerai ma partirai da dati oggettivi e da come le persone che sono coinvolte vivono, hanno vissuto quella esperienza e di cosa hanno bisogno. E lo faresti a prescindere dal fatto che molte aziende oggi, magari competitor, usino il digitale o qualsiasi altra soluzione. Guarderai al servizio com’è, ascoltando cosa serve a chi dovrà utilizzarlo e agli stakeholder che sono coinvolti con i loro interessi.

 

Dunque, prima di passare a raccontare le fasi che compongono il processo di design thinking, possiamo sintetizzare che le caratteristiche di questo approccio e i suoi capisaldi sono:

 

  • il mettere lo user (nel nostro caso sarà il dipendete) al centro, raccogliendo dati e informazioni.

 

  • la co-creazione, un designer non fa tutto da solo ma coinvolge tutte le persone impattate nel servizio o prodotto da ri-disegnare che sia lo user o che siano gli stakeholder. Usa un approccio sistemico.

 

  • la sperimentazione per complessità crescenti che permette di testare se idee e intuizioni funzionano davvero e sono quello che servono (user e stakeholder vengono coinvolti fino alla definizione della soluzione)

 

  • la re-iterazione che permette di raffinare, correggere il tiro e consolidare.

 

L’errore: Fail but fail fast è uno dei mantra del metodo. L’errore, in questo sistema di sperimentazione e re-iterazione, non è un’onta ma una opportunità di apprendimento. La soluzione è generata solo dopo che tutto il processo è stato portato a termine ed è normale e fisiologico che ci siano degli aggiustamenti o correzioni. Qui una precisazione: i risultati negativi non sono fallimenti.​

Sperimentare è una parte integrante della vita e i risultati negativi sono attesi, servono per imparare e ampliare la propria esperienza.​

Il fallimento implica un vero e proprio «crash».​

Per questo scegliere piccoli step e testarli è un passaggio fondamentale e per questo la reiterazione del prototipare e del testare ci aiuta.

 

Se ti sei perso il nostro precedente articolo in cui raccontiamo cosa è il Design Thinking e la sua storia, lo trovi cliccando qui